Il nuovo potere aveva promulgato un decreto che autorizzava a cambiare i nomi delle famiglie con estrema facilità. Bastava una semplice dichiarazione alle autorità regionali. Spingeva così gli ebrei comunisti ad auto-negarsi e a presentarsi come polacchi doc. Così afferma Krzysztof Wolicki, un noto giornalista polacco di origine ebraica che aveva aderito al partito comunista.
Il prossimo 27 gennaio ricorrerà il giorno della Memoria per la commemorazione delle vittime dell’Olocausto. La data della ricorrenza risale al 27 Gennaio 1945, giorno in cui le truppe sovietiche dell’Armata Rossa liberarono Auschwitz.
Per Olocausto s’intende il genocidio perpetrato dalla Germania nazista e dai suoi alleati nei confronti degli Ebrei di Europa e lo sterminio di tutte le altre categorie di uomini ritenuti indesiderabili. Questa vera e propria tragedia dell’Umanità ha comportato in pochi anni quasi 15 milioni di morti. Il genocidio degli Ebrei, Shoa, ha cancellato 6 milioni di persone.
Queste cifre non danno appieno la misura dell’aberrazione in cui l’Umanità cadde nella metà del secolo scorso, le modalità di attuazione di queste atrocità rendono ancora più terribile quella tragedia. Basti pensare ai campi di concentramento, da Treblinka ad Auschwitz-Birkenau, e, per restare a casa nostra, al 16 ottobre 1943, giorno in cui scattò il terribile Sacco di Roma.
C’è una letteratura vastissima, di saggistica e narrativa, che affronta tutti gli aspetti di queste vicende che davvero hanno scosso il Mondo e hanno fatto capire come l’Umanità corra sempre il rischio di ricadere nella barbarie, di ritornare indietro di secoli, nei tempi più bui del suo passato.
Inutile aggiungere altro se non la più ferma condanna di tali misfatti e la perdurante e vitale necessità di mantenere viva la Memoria affinché non accadano mai più.
Vorrei, invece, approfondire alcuni aspetti della condizione degli ebrei dell’Europa dell’Est sopravvissuti alla Shoa e la loro convivenza con il comunismo. È una questione che ha davvero delle singolarità e che merita di essere approfondita.
Quasi tutti i paesi dell’Est hanno pagato con milioni di morti l’occupazione nazista, e più in generale la seconda guerra mondiale, basti pensare che la sola Polonia ha pagato un contributo altissimo all’Olocausto con 6 milioni di morti su 34 milioni di abitanti (il 38%) e di questi la metà (3 milioni) era ebrea.
Per i popoli di Ungheria, Polonia – tra l’altro l’unica nazione a non scendere a patti con Hitler, quindi mai ascritta all’Asse -, Cecoslovacchia, e degli altri paesi minori, come Romania, Bulgaria, Albania, Serbia, Slovenia, la fine della seconda guerra mondiale segnò l’ingresso nella sfera d’influenza sovietica. Tutta l’Europa orientale era stata via via occupata dai sovietici con le avanzate dell’Armata Rossa. Ma quei popoli avrebbero preferito essere liberati dal giogo nazista dalle forze occidentali. Ma così non fu!
Invece gli ebrei dell’Europa centrale e dell’est, che con i loro 6 milioni di morti – il 40% dei 15 milioni dell’Olocausto – avevano pagato un tributo altissimo, furono grati ai bolscevichi, essi non riuscirono mai a dimenticare che le prime divise che si affacciarono nei campi dello sterminio furono quelle dell’Armata Rossa, che la prima mano tesa, il primo gesto di solidarietà che li tirò fuori dall’inferno furono quelli sovietici.
Finirono con l’abbracciare il comunismo per una sorta di dipendenza psicologica, una sorta di pregiudizio positivo che rispondeva alla logica semplice che chi li aveva salvati non avrebbe mai potuto macchiarsi dei crimini perpetrati dai carnefici nazisti.
A questa posizione, o meglio, predisposizione d’animo, si affiancava la consapevolezza degli ebrei che la natura stessa della dottrina comunista garantiva la loro sopravvivenza, poiché quella dottrina individuava nel capitalismo le colpe di tutto quello che era avvenuto, compreso l’Olocausto. Quindi chi meglio del comunismo poteva mettere gli ebrei al riparo da una nuova Shoa?
Inoltre la stessa filosofia internazionalista, cui il comunismo si ispirava, pareva annullare ogni ipotesi futura di una nuova calamità antisemita. Se il credo comunista aveva vocazione internazionale al di là dei popoli e delle nazioni, allora anche il popolo ebraico sarebbe stato accolto in questa comunità ampia e al di sopra di ogni frontiera.
Queste diverse posizioni rispetto al comunismo crearono l’ennesima spaccatura tra i popoli degli stati dell’est e le comunità ebraiche che vi facevano parte.
Ancora una volta gli ebrei finirono con essere odiati e isolati dall’una e dall’altra fazione.
I loro connazionali, nei vari paesi dell’est, avevano la percezione che fossero asserviti ai comunisti, che fossero diventati loro complici e quindi l’identificavano come oppressori.
I governanti comunisti, pur ammettendoli all’interno delle strutture di potere, pur riconoscendo la loro funzione strategica di vittime più importanti del Capitalismo, ritenevano gli ebrei una razza che mettesse a rischio la realizzazione delle loro teorie e quindi non li gradivano.
Il primo obiettivo di Stalin fu quello di allontanare quanti più ebrei possibili dall’Urss. Non a caso fu proprio lui il più fiero e determinato artefice della costituzione e del riconoscimento dello Stato d’Israele. Ma a quelli che restarono vietò assolutamente ogni contatto con il nascente stato, altrimenti venivano tacciati di sionismo e perseguitati.
L’ambiguità della politica staliniana non contribuì a chiarire le idee agli ebrei, anzi finì con aumentare la loro illusione. Per queste ragioni, e per un certo rancore accumulato nei confronti dei connazionali nei vari stati orientali, che spesso non avevano mosso un dito per aiutarli durante la Shoa, che si erano macchiati della famosa colpa metafisica, gli ebrei, o almeno la maggioranza di essi, finirono per schierarsi con i comunisti.
La fiducia che le comunità ebraiche riponevano nell’ordine comunista come unica barriera contro ogni futuro tentativo di eccidio o di genocidio nei loro confronti era tale che sorvolarono su molte cose. I gulag, le purghe staliniane, gli atteggiamenti antisemiti che imperarono in quei paesi non riuscirono a ledere queste loro convinzioni. Tutto pareva di poco conto rispetto alle vicende terrificanti avvenute pochi anni prima.
Ecco perché si schierarono in molti a favore di Mosca quando nel ’56 l’Armata Rossa entrò a Budapest, perché molti lavoravano nelle file del Partito, alcuni ne erano esponenti di rilievo.
Sempre per questo motivo molti ebrei accettarono di buon grado la politica di normalizzazione che i governi comunisti imposero loro affinché potessero essere integrati. Accettarono di diventare invisibili, cioè di rinunciare al loro nome, alla loro religione, infine alla loro identità. Quelli che non accettarono furono emarginati, discriminati, in qualche caso perseguitati, imprigionati. Spesso furono gli stessi ebrei che occupavano posti di potere nelle strutture di partito ad essere i loro persecutori più determinati. Che degli ebrei, sopravvissuti alla Shoa, potessero a loro volta imporre costrizioni e vessare altri ebrei, è stata sicuramente una delle vicende più oscure nella storia del popolo israelita.
La questione ebraica nei paesi dell’Europa dell’Est è una questione ancora aperta, a 25 anni dalla caduta del muro non si è ancora fatta luce sulle tante piccole shoa che hanno avuto luogo sotto l’egida sovietica.
Probabilmente è un argomento scomodo per tutti: per la sinistra che mal volentieri affronta tematiche riguardanti le vicende avvenute oltre la cortina di ferro, per gli stessi ebrei perché hanno condiviso e avvallato le scelte comuniste, per la destra che portando nel suo bagaglio gli orrori nazisti soccomberebbe ad ogni confronto. Per tutti allora è meglio stendere un velo pietoso.
Ciro Pinto