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PlatoneIn questi ultimi tempi si riparla di Bellezza

Persino il Festival di Sanremo, cartina di tornasole del pensiero nazional popolare, è stato dedicato a questo tema. Per non parlare del bellissimo film di Paolo Sorrentino, La Grande Bellezza, con Toni Servillo, vincitore dell’Oscar per il miglior film straniero. Un oscar a mio avviso più che meritato e che dà lustro finalmente al nostro Cinema, che non saliva agli onori della ribalta in modo così eclatante dai tempi de La vita è bella (coincidenza o davvero la Bellezza abita in Italia?) di Roberto Benigni (1999).
Ma torniamo al tema. Perché si parla di Bellezza di questi tempi? Proprio in un periodo in cui il grigio sembra farla da padrone; mentre la crisi globale: economica, sociale e di valori, sembra caratterizzare l’inizio così difficile di questo terzo millennio?
Una fuga dai problemi opprimenti, da un quotidiano asfissiante e pesante?
Beh, è così, ma non solo…
Innanzitutto chiariamo il concetto di bellezza, spesso confusa con quella mercificata e limitata dell’aspetto esteriore, dell’apparire, che tanto ha imperato e imperversato negli ultimi anni del secolo scorso. Quella per intenderci delle immagini patinate dell’alta moda, delle vetrine da sogno delle fashion streets, dei fasti dei vip.
Per fare chiarezza dobbiamo tornare dietro nel tempo, cercherò di essere sintetico.
Perdonatemi ma ci servirà…
Partiamo da Platone. Il grande filosofo greco elabora due concetti di bellezza: quella intesa come armonia e proporzioni delle parti (derivazione dal pensiero di Pitagora) e quella intesa come splendore (principio che espone nel Fedro) e che è una categoria a sé stante, che prescinde dal corpo (caverna buia che imprigiona l’anima), che non è percettibile dai sensi in modo totale. Abbisogna dell’apprendimento dell’arte dialettica: della filosofia.
Ecco già siamo al superamento dell’apparenza, siamo alla coscienza del bello inteso come armonia, l’unica percettibile dai sensi, quella che si riscontra nelle figure geometriche e nell’ordine delle cose, ma anche quella interiore, dove l’armonia risiede nei moti dell’animo, nei comportamenti.
Ma andiamo oltre: la bellezza non è solo contemplazione estetica o ammirazione dell’armonia spirituale. Per estrinsecare tutta la sua verità ha bisogno del caos, della bellezza selvaggia, del disordine. La teoria della osmosi tra ordine e disordine, tra brutto e bello viene elaborata da Nietzsche.
L’antitesi evidenziata dal filosofo tedesco segnerà tutta l’epoca moderna. La sua teorizzazione parte dall’analisi del tempio di Delfi (IV sec. A.C.), sul cui frontone rivolto a occidente è raffigurato Apollo, cui è affidato l’ordine, l’armonia, per volere di Zeus. Su quello rivolto a oriente c’è invece Dionisio, dio del caos e dalla mancanza di regole.
Secondo la mitologia Apollo e Dioniso sono fratelli, perché entrambi figli di Zeus, ma Dioniso è figlio di Semele, identificabile con la Luna e con tutto ciò che è oscuro. Apollo è figlio di Zeus e di Era, ed è la luce, l’equilibrio, la veglia. Il contemperamento degli opposti fa dell’uomo uno sveglio dormiente: in questo stato ci si avvicina alla verità. Il Neoclassicismo vive del mito di Apollo e lo riporta in vita; il Decadentismo dà voce a Dioniso: il sonno, il sogno, l’oscuro, l’inconscio. Ecco siamo arrivati al Decadentismo, siamo agli inizi del ‘900.
L’uomo in generale, l’intellettuale e l’artista in particolare, vive nei giorni successivi a due grandi epoche storiche: l’Illuminismo e il Romanticismo, mentre il Positivismo ormai prende sempre più piede. Il primo, regno della ragione e della scienza, che portò alla rivoluzione industriale del 1700. Il secondo ha segnato quasi tutto il XIX secolo, con la passione dei sentimenti, poi tramutatosi nelle fedi politiche e patriottiche. Due secoli di grandi stravolgimenti, di grande impatto sulle società di allora. L’uomo nuovo che ne uscì, all’inizio del secolo scorso, sentiva l’urgente bisogno di guardarsi dentro, di ritrovare le riflessioni su temi universali che esulassero dai confini ristretti della ragione, dalle prove scientifiche (Illuminismo e Positivismo), tentò di porsi nel suo ego, dopo l’impegno sociale e politico dei grandi moti rivoluzionari dell’Ottocento. Si dedicò alla ricerca di sé, allo studio delle sue aspirazioni spirituali e dei complessi meccanismi della sua mente. In questo humus si colloca il Decadentismo. Ecco, nasce il rifiuto della morale borghese, dei suoi valori ormai pregni di raziocinio, e anche del dilagante potere economico e industriale che porta le grandi potenze europee all’attuazione dell’Imperialismo, la sopraffazione di popoli non sviluppati per dare sviluppo e ampiezza al progresso industriale da una parte e impadronirsi delle ingenti materie prime, dall’altra. L’intellettuale di allora si chiude in se stesso, ricerca nell’individualismo la via di fuga da un mondo grigio e senza solidarietà.
Orbene, oggi viviamo quella stessa situazione. Come ci insegna il grande Gian Battista Vico, siamo ai cicli e ricicli della Storia.
Proveniamo dalle grandi ideologie (Comunismo, Fascismo, Nazismo) del secolo scorso, dalla Guerra fredda, dallo sviluppo abnorme della Tecnologia. Siamo cascati nel grigiore del presente, asfissiato dalla crisi di valori, dall’ottundimento consumistico; viviamo di realtà immaginarie, circondati da bolle finanziarie ed economiche, comunichiamo su social network dove l’amicizia è quasi sempre virtuale. Il nuovo Imperialismo si gioca sui patrimoni, e il flusso è esattamente il contrario (v. Cina, v. India).
Ecco che cominciamo a ripensare allo spirito, alle categorie universali della nostra umanità.
E la bellezza, in tutte le sue forme, ci appare la spiaggia dove poter approdare per scampare alla tempesta che ormai imperversa. Ma nel secolo scorso gli sviluppi di questo isolamento intellettuale furono appunto le grandi dittature, purtroppo.
Una nota di speranza?
Condividere, in tutti i modi. Socializzare e professare. Accettare il diverso, come componente essenziale dell’armonia.
In parole povere: impegniamoci, tutti, a riflettere ad alta voce.

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