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500px-S.S.C._Napoli_logo.svgMaradona-d1os Il Napoli nel calcio segue le sorti della città che rappresenta. Pur avendo grandi potenzialità non riesce mai a risolvere i suoi atavici problemi per assurgere definitivamente a un ruolo di vertice nello scenario nazionale.

 

 

I problemi della città sono tanti e complessi. Variegati e stratificati nel tempo, troppo difficile tentare una disamina in poche righe, quale potrebbe contenere la mia analisi.

Piuttosto quello che m’intriga in questo momento e che vuole essere uno spunto di riflessione  fa capo a questa domanda:

 

Perché Il Napoli non riesce a riaprire un ciclo dopo Maradona?

Quest’anno ci sono tutte le premesse: alle spalle un trienno di ottimi risultati, un allenatore di respiro internazionale, quale è  Benitez, e un cospicuo investimento in acquisti di prestigio, seppur bilanciati dalla partenza di Cavani e, prima, da quella di Lavezzi. Eppure l’ impresa già pare ripiegare su se stessa.
Faccio spesso questa domanda ai miei amici napoletani e tifosi della squadra, ma dopo mille ragionamenti non riusciamo a trovare una risposta esaustiva.

Proviamo a ragionare: per avere un ciclo occorre che ci sia un’ impresa (intesa proprio in termini economici) valida, con mezzi  e fondi sufficienti. Poi occorre uno staff di qualità, un ottimo allenatore e una squadra forte, organizzata. E dei campioni che ne elevino il gioco e la competittività.
Sembra basico come approccio, ma in fondo le cose importanti si poggiano su elementi semplici e chiari.
A ben guardare il Napoli nella sua storia ha avuto già la possibilità di aprire un ciclo, quando questi ingredienti si mischiarono egregiamente nel tessuto societario .

Penso al ventennio della gestione Lauro, dal 1950 al 1970.
Erano gli anni della ripresa, la città insieme all’ intero paese usciva faticosamente ma con entusiasmo dagli anni difficili del primo dopoguerra. Erano gli anni del baby boom, dell’ esordio in grande scala del consumismo come motore primario del nuovo capitalismo.
La gente comprava gli elettrodomestici, le macchine per cucire, le auto, e le cambiali fioccavano come neve sulle Alpi.
Lauro impazzava nella città partenopea, più volte sindaco e poi parlamentare alla Camera.
Un’altra strana faccia della città: lui, monarchico, populista  predestinato a catturare il consenso di un popolo che ha sempre subìto il fascino della leadership, , ma che ha sempre avuto il mito dell’ individualità.
Un grande Napoli per la grande Napoli, questo il motto dell’armatore.
Gli anni 50 furono gli anni di Jeppson, o’ banco e’ napule, per quanto fu pagato,  e che fu  strappato due volte all’Inter dei Moratti, rappresentando una sorta di riscatto della città contro il potere del Nord.
Poi  furono gli anni di Jeppson e Vinicio, detto o’lione.
Nel 1959 il nuovo stadio, il San Paolo, pareva assegnare finalmente  alla squadra il rango che meritava.
Ma in tutto il ventennio lauriano il ciclo non si aprì mai!
Certo, nel primo decennio la squadra spesso arrivava tra le prime. Più di una volta chiuse il campionato al 4° posto, ma già agli esordi degli anni ’60 scese nella serie cadetta.
A quella che all’epoca parve una tragedia, la squadra e i tifosi reagirono alla grande, vincendo la prima Coppa Italia.
Poi fu la volta di un’ altra mitica coppia: Sivori e Altafini, che portò a un secondo posto.

Insomma dopo tante aspettative e opportunità tutto il ventennio portò solo una Coppa Italia e una Coppa Delle Alpi (1966).

E veniamo a Ferlaino, un’altra gestione long time, questa volta addirittura trentennale: anni ’70, ’80 e ’90.
La gestione Ferlaino ha assicurato alla città e alla sua squadra finalmente una serie di trofei: una Coppa di Lega Italo-Inglese (1976), due Scudetti (1986-1987 e 1989-1990), 2 Coppe Italia (1975-1976 e 1986-1987), una Supercoppa Italiana (1990) e una Coppa Uefa (1988-1989).
Questi successi  hanno reso il Napoli  la squadra più titolata del Meridione, a livello nazionale ed internazionale, nonché, con 72 partecipazioni, quella più presente nei campionati di massima serie, sempre nell’ambito del Sud Italia.
Bisogna dire però che l’unico ciclo significativo aperto dal Napoli nel trentennio di Ferlaino corrisponde all’era Maradona, nel secondo quinquennio degli anni ottanta.
La città veniva dagli anni bui della guerra interminabile di camorra, dagli ammazzamenti e dalle faide innescate dalla NCO di Cutolo.
Aveva vissuto il terribile terremoto del  1980 e dalle cui emergenze pareva non uscire mai.
Il primo scudetto, i trofei successivi e il secondo ed ultimo nella stagione 1989-90, ridiedero alla città tanto ossigeno da farla gridare di entusiamo! Maradona divenne un moderno Masaniello. Effige e simbolo di un riscatto millenario!
Ma francamente, a livello squisitamente calcistico, quel Napoli poteva vivere un ciclo ben più prestigioso!

Infine veniamo a De laurentis (2004). Un decennio iniziato con un miracolo, che riaccese l’entusiasmo della città: la risalita in due anni dalla terza Serie alla serie A (2007). Poi finalmente nel 2011, dopo 21 anni, il ritorno in Champion,
già abbandonata quest’anno, e la quarta e quinta Coppa Italia (2012 e 2014).

Insomma gli auspici ci sono, ma De Laurentis sarà capace di riaprire un ciclo?

 

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