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foto(4)Riflessioni su La fabbrica fiorentina dell’illusione, di Carlo Stroscia

Ho iniziato a leggere La fabbrica fiorentina dell’illusione, di Carlo Stroscia, dopo aver ammirato la splendida copertina che ritrae l’interno del teatro, e mi è parso di aprire uno scrigno. Mi sono immerso nel testo con la misteriosa sensazione di vivere una piccola magia. Ho percorso un viaggio immaginifico nella storia del Teatro della Pergola di Firenze, uno dei più antichi e pregni di storia di tutta Italia.
Ma non solo.

Come si legge nella seconda di copertina, nella breve prefazione redatta dallo stesso autore, i percorsi sono più d’uno. Si tratta di un viaggio della memoria che tratteggia non solo la storia della Pergola, ma anche del teatro in generale, vista l’importanza che riveste nella storia teatrale del nostro paese.
E anche nella memoria personale dell’A. che discende da una famiglia che ha praticato da generazioni (almeno quattro) quasi tutti i mestieri che rendono possibile la realtà scenica teatrale (scenografi, macchinisti, elettricisti, guardarobieri, sarti, aiuto-macchinisti, e tanti altri ancora).

Una visita guidata nel complesso strutturale del teatro è stata lo spunto per la stesura di questo testo, che regala emozioni e cultura.
Il gruppo di visitatori si appresta ad entrare con lo spirito di chi va in un museo, varca il portoncino seguendo una giovane guida e tutto improvvisamente si anima, tutto prende forma e vita. E quella misteriosa sensazione che m’aveva colto all’inizio diventa percezione.
Sì, come d’incanto il teatro si anima, vive dei suoi personaggi, di ogni epoca, quasi come se la struttura si fosse cibata dei solfeggi, degli acuti dei mirabili tenori che ne hanno calcato le scene. Come se tutti i respiri e le battute degli attori, le fatiche e i sudori dei mestieranti, a preparare manufatti, a montare e smontare gli scenari, fossero stati catturati da quelle mura, avessero impregnato i drappi dei palchi e il velluto rosso delle poltrone in platea.
Il testo si svela nella sua ammaliante originalità, l’A. ci narra del teatro, regno della finzione (oggi stigmatizzata con il solito inglesismo: fiction), usando le sue stesse armi, la finzione appunto.
Sposa la chiosa di Gigi Proietti, che mette in apertura della prima parte: Viva er teatro dove è tutto finto ma gnente c’è de farzo. E questo è vero.
È da subito, appena varcato il portoncino, che la narrazione prende il fascino di un romanzo.
E, si sa, non v’è miglior artificio che narrare storie per parlare di storia e di cultura.
La storia del Teatro della Pergola ci viene raccontata dal teatro stesso, dai suoi personaggi, che appaiono nei vestiti che indossavano all’epoca in cui sono vissuti, parlano la lingua che usavano in vita, eppure sembrano personaggi di oggi, o meglio, di sempre!
E non si tratta solo di attori, di cantanti lirici e di tutti i personaggi famosi che hanno calcato il nobile palcoscenico di questa struttura magistrale, ma anche di coloro che lavorano dietro le quinte, di quelle maestranze che nei secoli hanno reso possibile l’arte della rappresentazione, in questo teatro, e in tutti i teatri del mondo.
Non a caso il primo fantasma, come Stroscia quasi lo definisce, è un macchinista. Chissà a quale epoca appartiene, ma tanto gli arnesi sono sempre gli stessi e i gesti del mestiere anche. Che importanza potrà avere…
Avanzando tra i vari locali del complesso architettonico il gruppo via via resta sempre più rapito dalla scena, e anche il lettore. Appaiono personaggi misteriosi, che discutono tra loro, che vestono abiti di epoca diversa, ognuno ha vissuto tra quelle mura, ognuno fa parte della sua storia.
Un misterioso nobile fiorentino, di cui ci è dato conoscere solo che ha una G come iniziale del nome o del casato, perché s’intravede sul fazzoletto che appare per magia da un polsino, ci narra delle origini del teatro fiorentino.

Ma occorre precisare brevemente un antefatto. Dopo i fasti greci e romani, quando il teatro poteva usufruire di un edificio all’uopo destinato, con l’oscurantismo religioso, nel Medio evo, non fu più possibile avere una struttura dedicata. La rigidità della Chiesa non consentiva che ci fossero siti destinati a rappresentazioni sceniche che riteneva fondamentalmente dei riti pagani. Allora, i giullari di quei tempi si potevano esibire solo nelle piazze e nelle fiere, saltando su un banco a declamare (da ciò deriva il termine: saltimbanco).
Poi con il Rinascimento e il grande pulsare di nuova vita, di arti e di mestieri, i nobili fecero da mecenati, ospitando nelle loro corti le rappresentazioni teatrali.
Bene, mi si scusi la digressione, ma è utile per capire quanto sia stato importante per Firenze che siano sorte le Accademie, già Conversazioni, che provarono a trovare siti diversi dalle sale dei palazzi nobiliari.

E così, tra l’appartamento privato di Lorenzo de’ Medici, una sala presa in fitto coi denari di un Cardinale, si arriva a comprare le botteghe del tiratoio dell’Arte della Lana…
La Pergola nasce nella strada, tra le botteghe, tra artigiani e artisti, e diventa fulcro pulsante di cultura e vita nella Firenze del 1600. Incontreremo più in là altri personaggi, apprenderemo cose affascinanti, conosceremo un impresario che ha dato inizio al teatro aperto al pubblico, con tanto di acquisto del biglietto.
Insomma, non posso rubare alla magia della finzione, che rappresenta il libro di Stroscia, niente di più; sarebbe un sacrilegio e una scortesia verso tutti coloro che lo leggeranno.
Posso solo aggiungere che l’A. si concede finalmente alla sua memoria, nella parte finale, e ci regala pagine delicatissime di suggestioni e di storia dell’arte e, perché no, dell’artigianato.
Scopriamo il suo amore per tutto quello che rappresenta il teatro, per i piccoli e grandi utensili, per tutta la vita che pulsa dietro le quinte, che lui ha vissuto e che non ha mai dimenticato, anzi come acqua incomprimibile sgorga cristallina dai suoi pensieri.
La fabbrica fiorentina dell’illusione, di Carlo Stroscia, è attualmente in edizione fuori commercio e a tiratura limitata.
Dopo averlo letto, avendo avuto il pregio di riceverlo in dono dall’A., spero vivamente che possa essere presto pubblicato.
Ritengo che sia un testo davvero unico, che riesca a trasmettere la magia delle suggestioni del passato, dell’arte. È un libro che riesce a parlare di cultura e di storia per bocca dei suoi protagonisti, tutti. Anche dei più umili.
E finalmente, i nomi scritti sui muri delle camerate dei tanti operai del teatro, che mai appaiono nelle locandine o nei manifesti che annunciano le opere rappresentate, possono essere illuminate da un fascio di luce.
Ciro Pinto

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