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IMG_0487Concorso sociale Circumnavigarte per poesie e racconti, 11 ottobre 2014.
I miei cinque racconti inediti sulla violenza si classificano al secondo posto.
Fanno parte del progetto editoriale Five, cinque racconti per sette argomenti

Scrivere di cose violente non è mai facile e francamente nemmeno piacevole, preferisco gli alveoli caldi dei buoni sentimenti.
Ma a volte affrontare certi argomenti può fare solo bene, aiuta a riflettere. Penso, più in particolare, che prendere atto e cercare d’indagare uno degli aspetti più biechi della patologia umana, come la violenza, possa servire a scongiurarla, almeno in noi stessi.
È quello che ho voluto fare in questa raccolta di cinque racconti, per la maggior parte brevi.

Ci sono ambienti e situazioni dove la violenza emerge in tutta la sua scarna desolazione; tra i più disgraziati diventa un modo per affermare il proprio predominio o la sopravvivenza.
Poi c’è la violenza gratuita, quella che nasce dall’impossibilità a relazionarsi, a convivere o, semplicemente, ad accettare una vita grigia, e che spesso sfocia in una strage. Come se creare quell’evento funesto servisse a riscattare la propria mediocrità.
La faccia più eclatante rimane la violenza della guerra, e soprattutto quella più subdola, quella che colpisce le persone più inermi e che le segna per una vita intera.
C’è anche la violenza che nasce dai principi distorti, da una visione atavica e fuorviante dell’onore, che spesso sfocia nell’omertà.
E infine la violenza sulle donne che tanto macchia e incupisce i nostri tempi. La lotta contro questo tipo di violenza e contro il femminicidio è ormai la nuova frontiera della civiltà.

In Cinque facce della violenza affronto questi temi con dei racconti scarni e duri, come appunto sono le cronache delle azioni violente; tutti inediti, tranne Il caffè che non abbiamo bevuto, finalista al XII Concorso Letterario Caffè Moak 2013 e che è pubblicato nell’antologia omonima.

Ho scelto di parlare di homeless, con Il posto per la notte, perché l’individuo in quel contesto è davvero alla mercé di tutti.
Ho affrontato il tema della disperazione, in Afa. Quella disperazione che scaturisce dalla solitudine, dall’aberrante routine di una vita grigia, ai margini della follia. In questi casi la violenza esplode improvvisa, appare un gesto freddo e lucido, ma può essere solo figlia della pazzia.
Ho parlato ne Il bosniaco e la bambina della violenza della guerra, di quella fratricida che annebbia il cuore e gela il sangue. Vittime innocenti piegate alla logica dell’odio fra le diverse etnie. E spesso a farne le spese sono i più deboli, come donne e bambini.
Con Il caffè che non abbiamo bevuto ho voluto tratteggiare la violenza come affermazione di principio e perciò ritenuta inevitabile, necessaria, in virtù di una deformata e fuorviante interpretazione dei comportamenti. Una mentalità atavica che ancora persiste in questo terzo millennio.
Infine con Donna violata ho cercato di mostrare quanto la civiltà sanguini di fronte alle aberranti violenze che vengono perpetuate sulle donne, ormai sempre più spesso.

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