Come l’autrice stessa ama definirlo, questo racconto breve è solo una proiezione pallida e crudele della luna.
Ma ogni proiezione lunare è affascinante!
La prima cosa che ti appare nitida, appena cominci a leggere, è la visuale. Infatti la storia è narrata da un soggetto esterno che pare osservare, scrutare e interpretare come chiunque osservi un quadro. Non formula mai concetti e pensieri definiti, lascia sempre spazio al dubbio, all’interpretazione, direttamente correlati all’angolo di osservazione. Ovvio che l’approccio narrativo è influenzato dall’origine artistica di Anna Cibotti, cioè la pittura.
A prima vista lo si definirebbe… lo si sarebbe detto… insomma una serie di ipotesi, poi confermate nella storia, che ti fanno avvertire l’avvicinarsi dello sguardo… come un grandangolo che via via ingigantisce i dettagli.
Uno stile asciutto, quasi scarno ed essenziale, utile però a far distinguere toni e forme in quella nebbia grigia e pesante che avvolge la scena e finisce col riempire l’animo di chi legge.
Un incrocio dove tutto si blocca, delle persone costrette dalle auto in panne a fermarsi, a pernottare in un luogo di fortuna, raggiunto solo per merito di un contadino, semplice e un po’ grezzo.
La semplicità, l’ordine basico della natura che smonta le sovrastrutture della mente, che apre gli animi e spinge l’individuo a riflettere e a rivivere le sue scelte, la sua vita.
Fatti inspiegabili, o forse no? O forse solo rievocazioni inconsce di eventi che non si è voluto approfondire, di ragioni che non si è potuto prendere in carico, che si è preferito rimuovere o, semplicemente, far sprofondare negli anfratti più nascosti dell’anima.
Un incrocio, dove in una catarsi piena e sincera ognuno può ritrovare le ragioni più intime della sua esistenza e riconciliarsi con lei o dove continuare a brancolare nella nebbia se non si ha l’umiltà di riflettere e di comprendere.
Ciro Pinto