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Un viaggio noir a Capri

Da Il Font :

Prendete un luogo, un tempo e una storia, legateli tra di loro con lacci che solo voi saprete sciogliere come e quando riterrete opportuno e avrete costruito una tragedia o un romanzo tragico, nella cui linearità sta la sua bellezza.

Ciro Pinto, napoletano, manager nel settore finanziario prima e scrittore poi, gratificato in questa seconda veste da numerosi premi letterari, sembra aver attinto a piene mani alla tradizione della tragedia classica antica nel suo ultimo romanzo, “Il passero e l’imperatore”, dove la regola delle tre unità è stata ripresa e plasmata per adattarla alle necessità del presente.

C’è un luogo, Capri, isola di tale bellezza da togliere il fiato a chi la veda per la prima volta e da far nascere prepotente il desiderio di tornarvi ancora, spinti dall’amore o dal dolore, sfumatura di poco valore. E nell’isola fascinosa c’è una villa, trasformata in piccoli appartamenti dati in affitto, Villa Moresca, all’interno della quale si intrecciano non casualmente le vite di quattro persone.

C’è un tempo, una settimana,  sufficiente per elaborare il passato in un presente che pare promettere una vita nuova, difforme da quella precedente, perché capace di svelare il segreto di un futuro che i protagonisti cercano con foga.

E c’è una storia, che come tutte le storie resta sospesa, in attesa di una catarsi.

Protagonisti palesi e latenti nelle pagine di Ciro Pinto

A Villa Moresca, costruzione che si presenta come la testimonianza di antichi fasti ormai decaduti, si incontrano Brian, Paolo, Clara e Giulia.

Il primo arriva da lontano, dalla Stanford University, dov’è docente della Facoltà di Lettere e Scienze.

Di Capri conosce tutto o quasi, grazie ai suoi studi che lo hanno portato a indagare nei dettagli la vita dell’imperatore romano Tiberio, il primo successore di Augusto.

La sua permanenza nell’isola di Capri fu oggetto di diatribe già fra gli storici antichi, tendenti ad accusarlo di malvagità e di vizi che avrebbero distrutto l’immagine dell’imperatore buono precedentemente consolidatasi. Negli anni della vecchiaia Tiberio visse a Villa Jovis, da cui tentò di mantenere il controllo sulla politica dell’Impero sfuggendo ai tentativi di renderlo innocuo, anche a costo di ucciderlo.

Capri parla di Tiberio in molti modi, a chi sappia leggere la sua storia, dai ruderi della Villa alla Grotta di Matermania, probabile ninfeo voluto dall’imperatore, e Brian ne è affascinato in modo entusiasta, tanto da contagiare con il suo entusiasmo chiunque sia intorno a lui.

Un altro appartamento di Villa Moresca ospita Paolo, che ha lasciato per una settimana il suo alloggio all’Accademia Navale di Livorno.

Ombroso, solitario, a volte scorbutico, nasconde in sé un segreto che lo tortura da due anni, che lo ha profondamente segnato nel carattere e nelle abitudini. A Capri cerca risposte, nelle cose e nelle persone, a domande che lo tormentano continuamente e che riaffiorano prepotenti nelle sue giornate all’Accademia.

Paolo arriva da solo a Capri, con un trolley in cui ha stipato pochi abiti e troppi ricordi, ma è costantemente accompagnato da una figura che ormai esiste solo più nella sua memoria.

Giulia, la terza ospite, è in fuga: con una decisione affrettata ha lasciato l’Irlanda e il suo compagno per tornare in Italia e fermarsi prima a Napoli, il tempo necessario per rivedere una madre con cui non ha legami da tempo, e poi a Capri, lontana dai dubbi maturati tra sé e sé.

Giulia è giovane, frizzante, ribelle, come hanno dimostrato le sue scelte di vita in aperto contrasto con la famiglia troppo borghese in cui è vissuta, ma non è sicuramente superficiale: se essere a Capri è il risultato di una scelta non meditata, ben diverse sono le riflessioni che avrà modo di inanellare nel corso della settimana, per arrivare a capire ciò che veramente desidera per se stessa.

Clara è l’ultima occupante di uno dei quattro alloggi di Villa Moresca. Il suo è un ritorno a Capri, ma non è una vacanza spensierata: anche Clara porta dentro di sé un dolore capace di smembrare  il suo desiderio di vivere, il ricordo di una vicenda che l’ha vista protagonista, nella stessa villa, insieme al suo compagno.

In un percorso a ritroso nel tempo, Clara torna nella villa nella stessa settimana da due anni, per cercare di elaborare quanto accaduto e ridarsi un’occasione di vita, magari anche serena e gioiosa.

Clara è bella, tanto bella da attirare su di sé gli occhi dei turisti in piazzetta o nelle tortuose strade dell’isola mentre compie gesti del tutto naturali e privi di implicazioni, caratterizzati da tale grazia da  non passare inosservati.

Con lei entra di prepotenza nella storia la grande protagonista, la Bellezza, quella che Ciro Pinto lega in modo indissolubile all’isola con una citazione di Raffaele La Capria, secondo il quale  “Capri: non puoi vederla se non l’hai sognata prima. Solo così può apparirti come il luogo mitico dove la Natura incontrò la Bellezza, come l’immagine più pura di quel mare che fu la culla degli dei, come l’isola dove Ulisse udì il canto delle sirene.”

Fu proprio questa Bellezza a incantare l’Imperatore Tiberio, che preferì Capri all’Urbe, a Roma stessa, pur essendo consapevole che neppure un imperatore avrebbe potuto considerarla propria, trasformarla in un possesso, perché essa appartiene a tutti, anche a un piccolo passero pronto a librarsi in volo e a nascondersi tra i rami di un pino marittimo.

I meccanismi dell’esistenza indagati da Ciro Pinto

Come accadeva nelle antiche tragedie greche, la storia si dipana lasciando nel lettore, ad ogni pagina, la convinzione che nulla accada per  caso, ma che, per  quanto pianificati, gli eventi vengono quasi sempre scombinati dal Caso, che ribalta le posizioni di vittime e carnefici.

Così fa Ciro Pinto in queste pagine: l’unità della storia, che il lettore ricrea sin dall’inizio del racconto, sembra sgretolarsi nel momento in cui le coincidenze fortuite mettono a confronto esistenze diverse e le costringono a prendere atto di ciò che non avevano minimamente contemplato come possibile, che invece si materializza sotto i loro occhi.

L’autore è molto abile nel far trapelare le informazioni destinate al lettore, inducendolo a creare e poi abbandonare nuove ipotesi di comprensione di quella trama che sta legando tra di loro vite apparentemente distanti e prive di collegamento.

Il romanzo, definito un noir, ha in realtà dei valori aggiunti rispetto a questa tradizione letteraria: le storie sono diventate una sola storia, l’esiguo  tempo dello  sviluppo si è esaurito, il luogo ha ammantato di Bellezza una vicenda tragica, capace di regalare ancora, nelle ultime pagine, un coup de théatre, del tutto inatteso.

L’equilibrio della narrazione di Ciro Pinto è assoluto, ad ogni domanda si troverà una risposta, non necessariamente gratificante. Ma la vita stessa, in fondo, quando ci fa il dono di darci delle risposte, rende talora invidiabile lo stato precedente di non conoscenza, il tempo in cui non saper rispondere ci aveva regalato una qualità di vita migliore.

Ogni condizione del nostro animo, ogni sentimento, anche l’amore, deve essere mantenuto ad un livello elevato, senza scadere parossisticamente nella sua degenerazione, come la bramosia del potere o la considerazione dell’altro come di un oggetto che ci appartiene.

Quando tutto si conclude per Brian, Paolo, Clara e Giulia, l’aver messo ogni tessera del puzzle al suo posto non è garanzia di soddisfazione: l’autore ci ha regalato una storia, finemente cesellata, ma ricordandoci che la Bellezza è un privilegio, di cui tutti possono godere indistintamente, imperatori o passeri che siano. L’importante è saperla vedere.

Luisa Perlo

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