Il Giorno del ric
ordo è una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno.
Istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, commemora le vittime dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata.
Secondo la legge che lo ha istituito, al Giorno del ricordo è associato il rilascio di una targa commemorativa, destinata ai parenti degli infoibati e delle altre vittime delle persecuzioni, dei massacri e delle deportazioni occorse in Istria, in Dalmazia o nelle province dell’attuale confine orientale durante l’ultima fase della seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi. (cit.wikipedia)
Gli avvenimenti sono stati chiariti, in modo abbastanza esaustivo, fin dagli anni novanta del XX secolo. Eppure, la conoscenza della verità da parte della pubblica opinione è ancora confusa. Tutta la vicenda del massacro delle Foibe è ancora oggi oggetto di polemiche di natura politica, che ingigantiscono o sminuiscono i fatti a seconda della convenienza ideologica.
Di sicuro, la sinistra italiana non ha mai accettato che si mettesse becco in quegli eccidi, quasi come se li avesse rimossi. Di contro, la destra li ha sempre rivendicati come l’ennesima barbarie del comunismo.
Per capire come e perché abbiamo scritto quest’altra pagina buia della Storia del nostro Paese, bisogna andare indietro nel tempo, ma restando nell’ambito del XX secolo.
Discorso pronunciato al Teatro Ciscutti di Pola da Benito Mussolini il 20 settembre 1920:
«Qual è la storia dei Fasci? Essa è brillante! Abbiamo incendiato l’Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revolverato i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata di Trieste, l’abbiamo incendiata a Pola…» (…) «Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini italiani devono essere il Brennero, il Nevoso e le (Alpi) Dinariche. Dinariche, sì, le Dinariche della Dalmazia dimenticata! (…) Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche».
Dopo questo discorso, l’Istria fu messa a ferro e fuoco. Fu annessa, insieme a Fiume e all’enclave dalmata di Zara. 80.000 tra sloveni, croati, ungheresi e tedeschi furono costretti ad andare via. Le autorità fasciste della regione allora denominata Venezia Giulia contarono in un censimento del 1939 una popolazione di circa 607.000 abitanti, di cui 245.000 italiani (44%) e 362.000 slavi, detti allogeni, -allogeno significa popolazione minoritaria (?!?!)-.
Alla popolazione allogena venne imposto l’uso della lingua italiana, furono vietate scuole e diritti nazionali. Chi non si sottometteva veniva perseguitato.
Vent’anni dopo, nel 1941 l’Italia diede il via all’aggressione della Jugoslavia. Furono occupate Dalmazia, Slovenia, Montenegro, Kosovo.
L’occupazione coatta dei territori, abitati da slavi per il 99%, portò a violenze e soprusi.
Ecco un passaggio di una circolare del generale delle forze di occupazione, Roatta: “il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato nella formula dente per dente, ma bensì da quella testa per dente”. Ecco alcuni stralci delle istruzioni del generale Robotti all’ XI Corpo d’Armata: “internamento di tutti gli sloveni per rimpiazzarli con gli italiani” e per “far coincidere le frontiere razziali e politiche”, “esecuzione di tutte le persone responsabili di attività comunista o sospettate tali”. Infine, “Si ammazza troppo poco!”.
Questo che segue è uno dei tanti eccidi perpetrati dalle nostre milizie. All’alba del 13 luglio 1942, per vendicare la scomparsa di due fascisti dal villaggio di Podhum, il prefetto Temistocle Teste ordinò la rappresaglia. Furono saccheggiate e poi incendiate 484 case, portato via tutto il bestiame, deportati nei campi di concentramento in Italia 889 persone (412 bambini, 269 donne e 208 uomini anziani) e fucilate altre 108 persone. Uno sterminio.
Dopo il settembre del ’43, i fascisti italiani, nel frattempo al servizio dei tedeschi, continuarono a battersi “per l’italianità” dei territori ceduti al Terzo Reich. Ecco, per esempio, Lipa (30 aprile 1944): 269 vecchi, donne e bambini sorpresi quel giorno in paese, furono sterminati, parte fucilati, parte rinchiusi in un edificio e dati alle fiamme. E di eccidi così ce ne sono stati tanti, dovunque arrivavano le milizie fasciste.
Questo preambolo era doveroso per comprendere il contesto storico nel quale si è poi sviluppato il massacro delle foibe.
Nelle foibe – caverne e aperture carsiche del terreno – a fine guerra mondiale, furono uccisi e gettati, dopo vessazioni e torture, tantissimi italiani. Il massacro ebbe luogo in due momenti storici diversi, entrambi con un comune denominatore: la temporanea occupazione dell’esercito partigiano jugoslavo prima dell’arrivo delle forze alleate. Il primo, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, una vera e propria vendetta per il rancore e l’odio accumulati nei 20 anni di italianizzazione forzata; il secondo, molto più grave per numero delle vittime, nella primavera del ’45, quando le truppe di Tito occuparono la Venezia Giulia, la Dalmazia, Trieste e parte del Friuli.
Il 29 settembre 1943 i partigiani jugoslavi e italiani dei comitati popolari di liberazione dell’Istria, stilarono elenchi che comprendevano non solo fascisti, ma anche semplici appartenenti alla comunità italiana. Circa 600 persone furono arrestate e condotte a Pisino, dove furono infoibate. La maggioranza dei condannati fu scaraventata nelle foibe o nelle miniere di bauxite, alcuni mentre erano ancora in vita. Alcune delle uccisioni sono rimaste impresse nella memoria comune dei cittadini per la loro efferatezza, tra queste: Norma Cossetto, don Angelo Tarticchio, le tre sorelle Radecchi.
Norma Cossetto ha ricevuto il riconoscimento della medaglia d’oro al valor civile per le sevizie subite per mano dei partigiani italiani e jugoslavi, per non aver voluto tradire il suo credo fascista.
Ecco la testimonianza della sorella:
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Nella primavera del 1945, dopo la liberazione dall’occupazione tedesca, a partire dal maggio di quell’anno, nelle province di Gorizia, Trieste, Pola e Fiume il potere venne di nuovo assunto dalle forze partigiane jugoslave. In questo interregno, che durò fino all’arrivo delle Forze Alleate, gli arresti, le sparizioni e le uccisioni di centinaia di persone si susseguirono senza sosta. Molte delle vittime furono gettate nelle foibe ancora vive. A Gorizia, Trieste e Pola queste efferate violenze cessarono con l’arrivo degli alleati nel mese di giugno. Purtroppo a Fiume gli alleati non giunsero mai, e le persecuzioni continuarono ancora a lungo.
Non c’è una stima precisa dei morti infoibati o uccisi per sevizie e/o in altro modo. Si ritiene che siano stati circa diecimila. Oltre 300.000 italiani furono costretti a lasciare i territori istriani.
È una pagina buia della nostra storia, probabilmente figlia dell’odio, quell’odio scatenato dalla barbarie e dalla sopraffazione. Che l’occupazione fascista abbia contribuito ad acuire l’avversione verso i nostri connazionali, con i soprusi e gli eccidi perpetrati durante il ventennio di occupazione, sembra fuori discussione. Ma l’ira selvaggia e brutale di chi agisce in nome della libertà e della lotta alla dittatura non trova proprio per questo alcuna giustificazione, soprattutto se rivolta contro persone inermi, come civili in generale, e donne e bambini in particolare.
Trovo, personalmente, davvero terrificante che le opposte fazioni politiche tentino di interpretare una vicenda, inequivocabilmente triste e feroce, con chiavi di lettura collegate al loro credo e spesso al loro interesse.
Le foibe sono una pagina della nostra storia da esecrare senza alcuna remora o giustificazione.
Ciro Pinto