
Recensione di Parole senza lingua, Roberto Mengoni
Editore: Self publishing Il mio libro
Pagg 488
Isbn 8892380885
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Premessa

Circa un anno fa, a luglio del 2021, ho presentato il mio giallo, Senza dolore, nell’ambito del Festival Noir Piceno che si è svolto a Monteprandone, un comune della provincia di Ascoli Piceno che sta sulla dorsale tra due valli, una dove scorre il torrente Ragnola e l’altra dove il fiume Tronto corre verso l’Adriatico, e sembra quasi sorvegliarne la foce a pochi chilometri di distanza.
In quell’occasione ho conosciuto Roberto Mengoni, l’autore di Parole senza lingua. Roberto è un uomo giovane e pienamente immerso nel nostro tempo. È un uomo impegnato, è stato ambasciatore in Tanzania e ora lavora come Coordinator for regular migration and international mobility al Ministero degli Affari Esteri d’Italia, a Roma ovviamente.
Da allora è nata un’amicizia e anche un’empatia letteraria. Roberto ha letto Senza dolore e lo ha recensito sul suo sito web, una recensione ricca di spunti e riflessioni. Scambiandoci le nostre opinioni ho scoperto che anch’egli scrive. E così ho ricevuto una copia del suo romanzo, Parole senza lingua, che ho finito di leggere da qualche tempo e che adesso mi accingo a recensire.
L’approccio
Sul finire del XXII secolo, recita la quarta di copertina, la musica è la principale mercanzia tra i pianeti della Via Lattea. Bene, mi dissi appena mi accinsi a leggere, allora parla di fantascienza. E di musica, visto che la quarta continua: I musicisti terrestri sono i migliori e la Great Gig in the Sky di Mia Comanche è la più grande banda della galassia. E di ecologia: In crisi creativa e sull’orlo dello scioglimento, il gruppo viene invitato a suonare nell’immensa città-foresta dello sconosciuto pianeta Alesia. E con un pizzico di mistero: Dietro il concerto si scatenano intrighi che rischiano di mettere in pericolo i musicisti e il mondo intero.
La cover -disegnata dal figlio dell’A.- è davvero uno squarcio di luce, sul fondo azzurro del mare appare la mappa della Terra e nella cornice di un enorme sole c’è lei, Mia, in tuta spaziale e con la sua immancabile chitarra, e una scimmietta dall’aria di una che sa il fatto suo.
E se fosse un fantasy? mi sono detto ancora.
Alcune riflessioni
Allora, non vi parlerò della storia che gira tutt’intorno al concerto da preparare e da eseguire e che viene via via rinviato, né dei tanti personaggi, un po’ misteriosi, anche perché come conclude la quarta di copertina: Non sarà facile per Mia distinguere gli amici dai nemici quando tutti si nascondono dietro una maschera.
Non posso parlarvene perché rischierei di togliervi il gusto della sorpresa.
Voglio invece sottolineare alcuni aspetti di questo romanzo che, aldilà del genere nel quale si voglia classificarlo, rappresentano una serie di temi universali: temi che né l’avanzare del tempo -siamo due secoli più avanti della nostra epoca- né la distanza e la differenza di razza -siamo ad Alesia, pianeta anni luce lontano dalla Terra- possono mutare.
-La Natura. La fantasia dell’autore spazia in libertà immaginando un mondo dove le case sono alberi, dove gli animali vivono in stretto contatto con gli umani, dove le sorti delle relazioni tra le creature viventi sono affidate alle scimmie nella Terra degli Altri, laddove si cela pure la Memoria. E in una sorta di congiunzione del tempo i morti parlano con sussurri senza parole, o meglio, con parole senza lingua. E sono soprattutto i bambini a percepirne i messaggi. Bè, una fantasia che si coniuga con una certa attitudine scientifica. Non diceva forse JRR Tolkien che “la fantasia è una naturale attività umana, la quale certamente non distrugge e neppure reca offesa alla Ragione, né smussa l’appetito per la verità scientifica, di cui non ottunde la percezione. Al contrario: più acuta e chiara è la ragione, e migliori sono le fantasie che produrrà”?
Tra le righe si leggono due sentimenti propri dell’A.: l’amore, penso profondo, per l’Africa, e il rispetto per ogni creatura vivente.
-Le regole di convivenza, l’equilibrio che esse pongono nella vita del pianeta, e direi di ogni pianeta. L’A. non le giudica, non le commenta. Si limita a descriverle, e magari ad affidare ai suoi personaggi l’intolleranza che qualche volta possono generare in chi le deve rispettare. E, alla fine, le problematiche politiche, sociali, il rapporto tra verità e menzogna, sembrano essere sempre gli stessi, anche a distanza di secoli e di anni luce. Bè, voi direte, è normale visto che a scriverne è un nostro contemporaneo e per giunta di questo nostro stesso pianeta. Certo, ovvio. Ma l’A. è bravo a farci sentire questa similitudine attraverso la storia, riavvicinando pian piano le opinioni dei ragazzi della band a quelle dei signori Camurano, per esempio, o svelando le affinità tra Mastro Orazio e Mia o, infine, aprendo il cuore di Isabella fino a farle scoprire l’amore materno.
-L’arte come veicolo potente di comunicazione, non solo di idee e di esigenze, ma soprattutto di sentimenti, istinti, sensibilità. In questo caso è la musica a giocare il ruolo magico di avvicinare due mondi diversi fino a unirli in un unico sentire.
Ma ora vi lascio alla storia. Mia, Lupo, Isabella, Perla, Gatto e gli altri vi aspettano. Addentratevi con loro nella vegetazione ridente di Alesia. E chissà che anche voi, come loro, non ne usciate cambiati, almeno un po’.
Buona lettura.
Ciro Pinto