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La recensione nel Gruppo Amici Lucchesi

Leggendo Pinto, torno ancora una volta a pensare a quanti bravi scrittori sono sommersi, lasciati fuori dal panorama letterario per una distrazione colpevole da parte della cultura dominante. Mi piace immaginarlo alla guida del suo bel motoscafo che, giunta l’estate, si inoltra nelle acque del golfo di Napoli (e oltre) e rimane solo coi suoi pensieri, baciato dalla quiete dell’anima e dal soffio dell’ispirazione. Forse è lì che nascono i suoi libri.“Gli occhiali di Sara”, pubblicato nel 2015 da Tralerighe Libri, la dinamica casa editrice lucchese diretta da Andrea Giannasi, è dedicato al padre con un commosso ricordo che ne fa intuire subito il contenuto. Si parla dell’ultima guerra e dello scontro duro e sanguinoso tra fascisti e partigiani. A differenza del padre, il figlio, allora giovane studente, nutre simpatie marxiste. Gli chiede perdono: “Oggi le mie idee sono ancora di sinistra, nonostante tutto. Ma con l’età ho capito tante cose.”.Da poco è caduto il muro di Berlino. Negli ex paesi dell’URSS si nutre la speranza di una vita diversa, migliore. Siamo a Praga (una città che è resa viva e magica: “città dalle mille magie.”, dove è avvertibile, quasi fisica, la presenza di Kafka), e un’anziana signora, di 75 anni, esile e dalla voce flebile, Elisheva Kundrova, scampata alla morte nel campo di Auschwitz, mostra ad Enrico Fontana, il protagonista, un paio di occhiali dicendogli che appartenevano a sua madre, morta nel campo. Com’era possibile se “sua madre l’aveva seppellita qualche anno prima, morta di placida vecchiaia, trascorsa con badanti clementi e visite fugaci di figli indaffarati, compreso lui.”. Il romanzo, diviso in tre parti, deve sciogliere il mistero e lo farà, immergendo il lettore in continui spazi ricchi di emozioni e di suspense. Basti dire che, ad un certo punto, quasi contemporaneamente, a Roma, la madre di Mario, un amico di Enrico, Rita (sarà una chiave della storia), immobilizzata su una carrozzella, dice al figlio, che la sta portando a passeggio, che deve raccontargli la storia di Sara. Il lettore conoscerà una Sara fragile, straziata, ma indomita: “Sara, chiunque fosse, gli penetrò nelle viscere, col suo sguardo spaventato, i suoi seni immolati insieme ai suoi sogni.”.Presto, la tragedia dei campi di concentramento (la cui condanna da parte dell’autore è forte e sicura) diverrà centrale e accompagnerà Enrico fino alla fine. Scriverà Elisheva: “Dal giorno in cui sono uscita da Auschwitz ridotta a una larva umana, non sono mai riuscita a liberare il cuore dal filo spinato dei recinti di quel campo. Ho vissuto come un simulacro, ho coltivato le mie sofferenze come piaghe che non seccano mai.”. Più avanti, dirà: “Quando arrivarono i russi, ero ridotta a una larva umana, non desideravo niente e l’idea di tornare nel mondo mi spaventava.”.A questo proposito, vorrei sottolineare una frase, luminosa e esaltante, pronunciata dal protagonista a Judita, sconvolta dai ricordi che la prozia Elisheva sta raccontando: “Vorrei mostrarti che la vita è più bella di tutte le volte che è terribile.”. Questa volontà di liberarsi di un passato terribile e angosciante fa la forza del romanzo. Addirittura Enrico sta cercando di spremere tutto dalla sua esistenza per poter giungere a quella che lui chiama la “visione algida” della vita, “che lo avrebbe portato improvvisamente lontano dal mondo che si era creato.”.La scrittura è nervosa e incisiva a un tempo (all’inizio irrequieta come il protagonista), netta, va al sodo, rifugge pause e superfluità. Il racconto è efficacemente strutturato in modo da esaltare la curiosità del lettore, in un crescendo che ha nella conclusione il suo stupendo apice. I personaggi si presentano all’improvviso, come in un teatro: Enrico, Annibale, Agnese, Sara, Rebecca, Judita, Mario, Carlo, Rita, e così altri minori.Scoprirete anche quanto i numeri siano importanti nella vita di Enrico, accanito giocatore al casinò.So che il romanzo ha vinto dei premi. Tutti meritati.28 giugno 2023

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