Fecero colazione in un bistrot sotto i portici di lato all’Opéra. Mangiarono croissant spalmati di confettura di mirtilli, fragole freddissime di frigo e bevvero caffè nero.
Avenue de l’Opéra stentava a svegliarsi quella mattina, come tutta la città, il sole incominciava a sciogliere l’aria e l’afa impigriva persino lo sguardo.
Akram spinse la sedia all’indietro, accavallò le gambe e volse lo sguardo lontano, verso un punto indefinito fino a quando non socchiuse gli occhi nerissimi e distese le spalle.
«Gran caldo, vero?» mormorò Daniel dopo l’ultimo sorso di caffè e tanta voglia di domande.
«Sì, gran caldo» rispose Akram.
Perché gli costava tanto parlare? Sin da piccolo sua zia gli diceva che per conoscere bisogna guardare, per capire bisogna ascoltare ma per vivere bisogna parlare e tu Akram parli così poco, piccolo mio! sbuffava sempre alla fine con un tocco di rimpianto.
Dinanzi a sé vedeva in lontananza i giardini del palazzo reale, nascosti da un lungo muro, la sagoma imponente del Louvre e oltre immaginava il fiume pigro che bolliva di caldo sotto lo sguardo dei turisti, che lo accarezzavano lungo viale George Pompidou.
Provò per la prima volta il dolore del distacco: Parigi era la sua città, il mondo che lo aveva cresciuto, il luogo dove vivevano i suoi genitori e sua zia… (continua)