La lettura di Verità oscura di Simone Pavanelli mi ha riportato indietro negli anni, a quando divoravo gialli, polizieschi e noir, leggendoli dappertutto, mangiando, di notte, sulla spiaggia.
Verità oscura s’inserisce a pieno titolo nei libri polizieschi stile noir che hanno riempito le edizioni Mondadori degli anni 60 e dei primi anni 70. Leggendo il romanzo ho rivissuto appunto le mie letture da ragazzo, quando andavo pazzo per i gialli Mondadori.
Infatti ho ritrovato tutti gli ingredienti di quel genere di narrativa.
Uno stile asciutto, senza fronzoli, con poche descrizioni e un ritmo incalzante, dove domina l’azione, e gli accadimenti non danno tregua né spazio a disincanti.
Una struttura perfettamente rispondente al genere, con suspense e intreccio, la storia prosegue senza flash back e flash forward, che sono più usati nel mainstream o in romanzi a sfondo psicologico, ma alterna situazioni e colpi di scena che non ti lasciano mai mollare il pezzo.
Ottima anche la sequela di eventi non sempre concatenati ma che si riveleranno tali.
I personaggi sono i classici stereotipi di questo genere. Il protagonista, senza scomodare Marlowe, è il classico detective macho, affascinante, duro e intelligente. Anche i personaggi di contorno rispondono ai cliché del genere giallo noir.
I contenuti ci stanno tutti, dalla setta alla questione fiscale o finanziaria e passionale. Sono plausibili nel genere del libro.
In ultimo il finale. Ovviamente a sorpresa, come si addice a un giallo o a un poliziesco.
Io avevo intuito qualcosa ( lui si sveglia col mal di testa e si sente strano, tanto da vomitare…) ma in linea di massima non è intuibile. All’inizio sembra inverosimile, ma non è così, ricordo tanti film e libri che hanno trattato la sindrome da rimozione.
Ciro Pinto