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Il mio racconto La forza di Cartocito nell’Antologia: Cartoceto, uno squarcio di sole.

Breve prefazione

Siamo tra il XIV e il XV secolo. Il borgo di Cartoceto, attorno al suo castello, viveva una vita indipendente e laboriosa.
In virtù della sua posizione logistica, era uno dei più importanti tra i quindici castelli situati a nord del fiume Metauro. Proprio per la sua funzione di avvistamento e di protezione per le terre che si estendevano fino all’Adriatico, era entrato nelle mire dei Malatesta, Signori di Fano e di tutta la costa romagnola. Ma il popolo di Cartoceto riuscì a rimanere sempre indipendente, in forza dell’attaccamento alla sua terra e alla sua tradizione.
Solo per sei mesi dovette soccombere al dominio dei Malatesta, ma poi se ne liberò.

Anteprima

«Messere, lei è giunto a Cartocito. Ne sia ben lieto! Quivi può riposare le sue membra stanche e gli armenti.»
Il cavaliere lo guardò un attimo e poi ripose la spada. Scese da cavallo e ordinò di fare lo stesso ai suoi scudieri.
La viuzza stretta, che si dipanava dinanzi a lui, s’inerpicava fino al Maniero. Di lato e tutt’intorno verdi colli e valli accarezzavano lo sguardo.
«Sono qui, villano, a ritrovare frescura e riposare al fin le bestie. Portaci del vino. E del pane unto con olio fresco, ché so essere delizia da queste parti.»
Così si liberò dell’armatura e chiese acqua per lavarsi, mentre i suoi servitori presero in cura i cavalli.
A quell’ora, di primo pomeriggio, l’arsura era alta, e le genti ancora nei campi faticavano a rientrare nelle loro povere case.
Antimino liberò un tavolo lungo e stretto e si premurò di portare un cesto di pane nero, del salame suino e formaggi, boccali di vino ricolmi e fiaschette d’olio.
È un brutto periodo, pensò l’oste, mentre guardava corrucciato i due scudieri assicurare le bestie ai grossi anelli attaccati di lato al cascinale. Il Castello era forte. Inespugnabile, aveva gridato insieme agli altri, fieri e baldanzosi, sotto le sue mura, al ritorno dalla funzione religiosa dell’ultima domenica.

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